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IL TESTAMENTO A VENEZIA

La consuetudine di testare a Venezia era pratica particolarmente diffusa, indipendentemente dalla quantità e qualità di beni materiali posseduti, dal livello sociale di appartenenza e dal genere del testatore. Ricchi e poveri, patrizi e popolani, laici e religiosi, ma soprattutto uomini e donne, testavano pressoché in egual misura. Non necessariamente il momento di far testamento coincideva con l’età avanzata, con la vecchiaia, con il tempo più prossimo alla morte: vi si poteva provvedere anche solo in previsione di un viaggio, per mare o per terra, o all'approssimarsi del parto. Frequentemente in occasione di epidemie. E anche più volte, dunque, nella vita di una persona. Di qui l’enorme numero di testamenti conservati nel fondo Notarile (e pure in altre sedi) dell’Archivio dei Frari, probabilmente superiore al milione di cedole.

Tra le motivazioni recondite che spingevano a lasciare, in forma pubblica o privata, per iscritto o per semplice disposizione orale, per intervento di notaio o di altra persona di fiducia, traccia giuridicamente ‘certa’ e in qualche modo indelebile delle proprie ultime volontà, possiamo indicare tanto quelle spirituali, magari legate più o meno indirettamente alla raccomandazione evangelica dell’estote parati, come anche l’insopprimibile aspirazione dell’uomo a perpetuarsi oltre la limitata estensione della propria esistenza attraverso le generazioni future mediante una manifestazione di ultima volontà. Oppure, molto più prosaicamente, motivazioni intrinsecamente materiali, meglio ascrivibili alla volontà di disporre delle proprie sostanze – rilevanti o meno, in termini patrimoniali, non riveste alcuna importanza – anche oltre i ristretti confini dell’esistenza umana, conformemente alle cogenti determinazioni irrigidite e fossilizzate nel tempo e nello spazio grazie alla dispositio mortis causa? E perché non prendere in considerazione piuttosto la capacità persuasiva, e ben altrimenti convincente, di una consuetudine in grado di coinvolgere e permeare trasversalmente la società veneziana?

Emerge, dalla lettura dei testamenti, soprattutto la certezza di non poter evitare in alcun modo il pericolo della morte, nondimeno unita all’ignoranza del momento, ma più ancora è la paura di morire senza aver avuto il tempo di metter ordine nei propri beni, di abbandonarli … inordinata et indisposita … quasi a sé stessi, alla mercé dei giorni futuri e dell’altrui capriccio. La paura del disordine, soprattutto, sembra quasi prevalere a livello morale e concettuale. Di qui il timore, sempre coscientemente manifesto, di … intestatus decedere …, e la conseguente determinazione di far testamento.

In tutti i casi, l'atto di testare sembra rispondere al desiderio di sopravvivere in qualche modo, attraverso il patrimonio raccolto in vita, nel ricordo, non solo degli eredi, ma dell'intera società.

Ce lo rammenta Giovanni Pedrinelli, nel celebre manuale di pratica notarile edito nel 1768:

Gli uomini, comeché trapassati, per mezzo de’ testamenti vivono e comandano ancora [...] Ogni membro [sc.: della società] può, morendo, disporre d’ogni sua cosa, e benché più non viva, egli ha libera facoltà di vivere co’ suoi voleri nelle future generazioni, estendendo, dividendo, trasferendo a piacer suo le proprie azioni e ragioni in coloro che vivono dopo di lui.

Le norme imposte dalla Repubblica in materia di redazione e, soprattutto, di tutela delle cedole testamentarie sono, poi, straordinariamente attente, rigide e meticolose: per primo l'obbligo tassativo per il notaio di depositare in Cancelleria inferiore (così chiamata perché posta al pian terreno di Palazzo Ducale) nel termine massimo di un giorno, ogni testamento ricevuto, potendone trattenere, semmai, una copia, per ulteriore sicurezza.

Ricordiamo che il più antico documento conservato in Archivio di Stato di Venezia è proprio un testamento, e il testamento di una donna, Maru, databile tra gli anni 847 e 849.

Questa sezione di mostra si propone, dunque, di dare evidenza ad alcuni dei testamenti più antichi e significativi presenti ai Frari nel fondo Notarile: si apre con tre splendidi esemplari trecenteschi (due nella trascrizione datane dal notaio nel proprio protocollo), redatti nelle diverse modalità previste dalle leggi. Segue, a mo' d'antologia, un gruppo di testamenti di donne e uomini illustri.

Franco Rossi - Eurigio Tonetti

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