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IL NOVECENTO VENEZIANO

Nell'immaginario comune, il grande Archivio di Stato dei Frari è un luogo, per così dire, “consacrato” alla memoria storica della Serenissima, e dunque teatro fondamentale per gli studi sull'età medievale e sull'età moderna. Una simile percezione, sicuramente veritiera, non può però oscurare il fatto che l’Istituto custodisce pure fonti imprescindibili per la storia di Venezia nel XX secolo, tra cui importanti documenti relativi al periodo della Prima guerra mondiale, quando mancò poco che la città venisse occupata dagli austriaci vittoriosi a Caporetto, e fu pesantemente bombardata dall’aviazione imperiale.

Anche il ventennio mussoliniano è significativamente testimoniato dalle “carte” dei Frari. Tra esse si distinguono, per la loro intensa drammaticità, quelle della persecuzione razziale antiebraica, orchestrata dal regime fascista tra 1938 e 1945. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca di Venezia, in particolare, le forze della Repubblica Sociale Italiana si dedicarono con accanimento alla ricerca e alla cattura degli ebrei veneziani, consegnandone molti agli alleati nazisti (che li avrebbero successivamente avviati ai campi di sterminio in Polonia). Ma la documentazione prodotta dagli organi provinciali più rappresentativi dell'amministrazione pubblica italiana rende evidente come già a partire dall'autunno del 1938 la macchina dello Stato si concentrò nell'opera diuturna e intensa di applicazione delle «leggi razziali» antiebraiche. Nel caso delle carte pertinenti alla Prefettura e alla Questura di Venezia, si tratta degli esiti delle attività istruttorie che circolari via via più dettagliate prescrivevano agli uffici di svolgere con minuziosa precisione, in esecuzione del quadro normativo stabilito a livello generale. Come è stato scritto, «Il perfetto funzionamento della normativa persecutoria fu assicurato da un'impressionante mole di lavoro: un vero e proprio antisemitismo della burocrazia ministeriale» (Gentile 2013, p. 9).

Conclusosi il secondo conflitto mondiale, Venezia visse, almeno sino al 1966, quella che è stata definita come la sua ultima stagione vitale, che un recente convegno dell’Istituto Veneto ha definito appunto dell’«ultima Venezia», ricca di progettualità in molti campi e animata da una folta presenza di artisti, studiosi, operatori economici. Ne forniscono un fondamentale corollario visivo le foto di Luigi Bortoluzzi, “Borlui”, che un recente acquisto ministeriale ha destinato all’Archivio di Stato veneziano.

Andrea Pelizza

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