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I luoghi della Zecca. Pianta della Zecca e Procuratie Vecchie realizzata dal pubblico perito Paolo Rossi

1755, agosto. Venezia.

Disegno a inchiostro colorato ad acquerello, 620 x 750 mm

Miscellanea mappe, n. 652. 

Pianta della Zecca e Procuratie Vecchie

1756, 18 marzo. Venezia

Disegno a inchiostro colorato ad acquerello, 520 x 382 mm

SenatoDeliberazioniTerra, filza 2232, inserita nella minuta della parte 1756, 18 marzo

Le monete della Repubblica di Venezia furono tutte stampate con conio e martello fino all’anno 1755, quando sotto il dogado di Francesco Loredan ebbe corso il tallero veneto (coi suoi sottomultipli, mezzo, quarto ed ottavo), stampato con il torchio a bilanciere, nel tentativo di contrastare la concorrenza del tallero austriaco nei mercati orientali. Le due piante della Zecca e delle Procuratie Vecchie qui presentate testimoniano proprio il passaggio dalla tecnologia tradizionale al nuovo sistema di produzione. Dalla pianta del 1755 possiamo farci un’idea della vita che si svolgeva in Zecca sino alla prima metà del Settecento. Nel progetto per il nuovo edificio proposto da Sansovino nel 1536, le botteghe dei lavoratori della Zecca erano stanze singole situate intono a un cortile aperto (nella pianta, le stanze identificate con la lettera “B”), e in ogni bottega il lavoro era svolto sotto la direzione di un maestro. Al piano terra c’erano dodici botteghe per la creazione dei tondelli (tondi di metallo ricavati dalle lamine del metallo tagliate con le cesoie), due botteghe per il procedimento di «blanchizazione», due per fondere i conii, e quattro per battere le monete. In queste ultime botteghe, lo stampatore, chiamato «monedador», teneva in mano il fusto del conio e con il martello ne batteva la cima, imprimendo così l’immagine incisa su un tondello sottostante posizionato nel conio fisso, ben saldato in un blocco di legno, quindi un assistente provvedeva ad estrarre la moneta finita dal conio fisso e a sostituirla prontamente con un nuovo tondello. Al piano superiore si trovavano sette botteghe per l’oro, due stanze per la pesatura e lo stampaggio, più altre due per i saggi e tre uffici. Nella pianta del 1756 è invece indicata la «ridistribuzione de’ lavoratori che il sopraintendente ha giudicato più a proposito per la nuova fabrica del torchio». A dominare la scena ora è la stanza contrassegnata dalla lettera “H”, nella quale, «stabilito sopra d’uno zocco di dieci piedi», campeggia il nuovo torchio. L’allestimento dei nuovi macchinari fu curato da Michel Dubois Chateleraut, direttore della Zecca di Parma, fatto venire apposta a Venezia anche a seguito dell’inadeguatezza delle maestranze locali nella gestione della coniazione «a torchio», nuova tecnologia ormai diffusa da tempo presso le altre istituzioni italiane ed europee.

PPDM

Miscellanea mappe, n. 652   0175331

 


Biblio.: Berchet 1910, pp. 340-350; Rossi 2012, pp. 104-106; Stahl 2008, pp. 529-549.

 

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