8 di 9 INDIETRO - AVANTI - HOME PERCORSO MOSTRA
Testamento di Leonardo Donà, doge di Venezia
1612, 28 maggio. Venezia
tre bifogli, mm. 235 x 342 piegati; involucro mm. 430 x 290
Notarile, Testamenti, b. 1245, test. 493
Personaggio di straordinaria curiosità intellettuale, molto amante dello studio ed eccellente uomo di governo, doge dal 10 gennaio 1606, in questo suo lungo testamento autografo Leonardo Donà lascia eredi i tre nipoti, Leonardo, Antonio e Girolamo, figli del fratello Nicolò, «nei quali egli, rimasto scapolo, ravvisava i preziosi continuatori della famiglia»(Cozzi 1991). Ordina che il suo cospicuo patrimonio, frutto dapprima della mercatura esercitata in età giovanile e, poi, dei cespiti di rendita fondiaria, rimanga perpetuamente in famiglia, e sia trasmesso ai discendenti maschi degli eredi, non potendo tale fedecommesso essere toccato se non nei frutti, e al massimo per dieci anni, per dotare figlie femmine e «in evento di loro capitività da inimici, dalla quale Dio sempre li liberi, per la sua [ossia: di componenti della famiglia] sostentatione, overo redemptione, ma non già per altre cause, né per più longo tempo di anni dieci». Solo in mancanza di discendenti maschi, l'eredità potrà passare alle figlie femmine. I nipoti, assieme alla loro madre, Adriana Bragadin, per la quale dimostra alta considerazione, vengono istituiti esecutori («commissari»): «li quali io stringo per quella ingenuità et fede, alle quali sono tenuti, che adempiano la mia volontà, et che non le contravengano, poiché de altra maniera facendo, maculariano le loro conscientie et levariano dalli posteri del suo proprio sangue quello che io gli lascio, con grave offesa degli ordeni divini et humani, che sono a tutti notissimi». «Scritto con il piglio autoritario che lo aveva sempre contraddistinto» (Cozzi 1991), il testamento si dilunga in disposizioni anche minute, specialmente relative al palazzo da lui fatto costruire sulle Fondamente Nuove, tutte finalizzate a raccomandare un'oculata amministrazione del patrimonio, da mantenere il più a lungo possibile all'interno della famiglia.
ET
Biblio.: Seneca 1959; Cozzi 1991.
