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Il Senato concede a Torquato Tasso, su sua richiesta, il privilegio per la pubblicazione del poema Rinaldo
1562, 30 maggio
Bifolio cartaceo legato in filza, 222 x 322 mm
Senato, Deliberazioni, Terra, filza 36
Nell’estate del 1562 un giovane Torquato Tasso – all’epoca appena diciottenne – era studente ai corsi di filosofia dello Studio di Padova, al quale si era iscritto due anni prima per studiarvi diritto, e allo stesso tempo frequentava a Venezia, dove soggiornava al seguito del padre Bernardo, un’ampia cerchia di intellettuali e studiosi. In quest’ambiente fervido di idee il futuro autore della Gerusalemme liberata trovò il clima favorevole per comporre il suo primo poema epico-cavalleresco, il Rinaldo, in dodici canti in ottave, che fu pubblicato proprio quell’anno nella città lagunare, per i tipi dell’editore Francesco Senese (Francesco De Franceschi), con dedica al cardinale Luigi d’Este. Importante soprattutto, per gli sviluppi della poetica del Tasso, l’ampia prefazione, in cui l’autore espose i dettami della sua arte.
Il 30 maggio 1562, accingendosi alla pubblicazione dell’opera, il giovane Torquato si era indirizzato al Doge perché gli concedesse l’esclusiva sulla stampa, in modo che per un certo arco di tempo egli potesse essere il solo a trarne un utile (la Repubblica, com’è noto, era stata la prima a concedere un privilegio di stampa, a Giovanni da Spira, nel 1469): «Essendo per lunga usanza la serenità vostra munificentissima et larghissima delle sue gratie a i suoi servitori, e specialmente di gratie giuste et lecite, però io Torquato Tasso di messer Bernardo, servitor humilissimo di vostra serenità, la supplico humilmente a degnarsi di concedermi gratia, che per spatio di anni 15 niuno altro che io possa stampar, né far stampar o stampato vender il libro mio intitulato Il Rinaldo di Torquato Tasso et cetera senza mia licenza o di coloro che haveranno causa da me, sotto le pene consuete in simil materia, non essendo honesto che alcuno defraudi alle altrui fatiche. Et alla buona gratia di vostra serenità humilmente mi raccomando».
La richiesta di Torquato ottenne in effetti il favore del Senato veneziano, che, una volta ricevuta dai Capi del Consiglio di dieci l’attestazione che nell’opera non si conteneva «cosa alcuna contraria alle leggi», stabilì «quod concedatur supplicanti quantum petiit, per spatium annorum quindecim».
AP
Biblio.: Solerti 1895, p. 4; Tasso 1990, Introduzione, p. 9; Comelli 2013, p. 13; Gigante 2019.
