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Testamento di Antonio Lotti, maestro di cappella in San Marco
1738, 12 maggio. Venezia
due bifogli, mm. 203 x 289 piegati; involucro mm. 395 x 285
Notarile, Testamenti, b. 662, test. 128
Noto e prolifico musicista – ancorché oggi non molto eseguito – e uomo di umili origini, Antonio Lotti, raggiunse nel 1736 il vertice della Cappella marciana, nella quale era stato assunto quasi quarant'anni prima, e che aveva lasciato solo per un breve, quanto artisticamente fecondo, soggiorno a Dresda, dal 1717 al 1719, su invito del principe elettore Federico Augusto II.
Lascia un patrimonio di tutto rispetto, considerando che – come ricorda lo stesso Lotti – né lui né la moglie, la soprano Santa Stella, avevano ricevuto dai genitori «niuna eredità imaginabile», che assegna alla sposa e in parte al fratello Francesco.
La visita a Dresda è citata nel testamento, laddove ricorda che il «sortù» (trionfo) d'argento, colà acquistato costituiva «un donativo» alla moglie, e dunque andava escluso dall'asse ereditario; così come la carrozza con i cavalli e relativi finimenti, portata dalla capitale polacca, veniva donata alla stessa, qualora «desiderasse» averla.
Tra le disposizioni minori, assegna 35 ducati annui perpetui affinché una volta l'anno sia celebrata una messa in suo suffragio in San Geminiano (dove verrà sepolto) e contestualmente sia eseguita una «messa da morto a capella» da lui composta.
ET
Biblio.: Steffan 2006.
