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Prospettive di riforma del commercio. Venezia. Punta della Dogana. Raffigurazione prospettica dell’edificio della dogana con allegoria
[post 1775]
Disegno a inchiostro su carta legato in registro, 315 x 245 mm
Intera facciata: 315 x 1400 mm
Inquisitori di Stato, b. 938
Nella seconda metà del Settecento, la consapevolezza del crescente declino del peso politico, militare ed economico di Venezia nello scacchiere italiano ed europeo si fece progressivamente strada in seno alla componente più avveduta del patriziato al potere. La politica di stretta neutralità adottata dalla Serenissima nel corso dei continui e sanguinosi conflitti che avevano attraversato lungo tutto il secolo il continente, mutandone la fisionomia e comportando l’insorgere di nuovi equilibri, se da un lato aveva salvaguardato, almeno temporaneamente, la sopravvivenza dello Stato veneziano, dall’altro lo aveva però consegnato sguarnito di ogni potenza a ulteriori sviluppi che si fossero potuti pericolosamente determinare. Riformare la Repubblica appariva dunque ineludibile a quanti avevano più a cuore la conservazione di un’autonomia marciana; ma modificare secondo principi di razionalità l’impalcatura socio-politico-istituzionale di un’entità così complessa, di derivazione medievale, appariva assai difficile, se non impossibile, a meno di non voler correre l’improponibile rischio di mettere in discussione lo stesso ruolo dell’aristocrazia patrizia e il sistema sociale complessivo. Meno azzardata sembrava invece la ricerca di una ripresa programmata delle attività economiche, magari rianimate dalla spinta e dal sostegno del governo. In questo senso furono esperiti – anche se con esiti finali che non di rado furono poco felici – vari tentativi: uno di questi riguardò la riforma del sistema doganale, che soffocava la circolazione delle merci con oneri pesanti e una tassazione eccessiva. Furono studiate riforme daziarie, al fine di semplificare il quadro generale e possibilmente ridurre a un’unica tariffa di consumo tutti i dazi in precedenza esistenti. Anche i privati vennero sollecitati a più riprese a fare giungere al governo proposte e indirizzi migliorativi; rispondendo a un appello in questo senso, contenuto nel decreto senatorio del 1 giugno 1775, un certo Pietro Rossini, di Bergamo, presentò ai Cinque savi alla mercanzia, organo preposto alla gestione complessiva della materia, un piano per far risorgere il commercio, articolato in «otto cardinali rimedii». Un motivo d’interesse dell’albo inviato per l’occasione da Rossini alle autorità risiede anche nei disegni che lo ornano, uno dei quali raffigura la Punta della dogana, eretta dall’architetto Giuseppe Benoni allo scadere del XVII secolo, ricompresa in una complessa allegoria del commercio e della navigazione bene ordinati.
AP
Biblio.: Romanin 1859, p. 366; Perini 2003, pp. 185-229.
