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L’ordinamento comunale in epoca fascista. Dal sindaco al podestà
1930
Prefettura di Venezia, Gabinetto, Affari generali e affari ebraici, Serie generale, b. 6, fasc. «Podestà e Vice Podestà di Venezia. Spese di rappresentanza»
In epoca fascista l’ordinamento comunale italiano fu profondamente modificato rispetto al passato, ponendo tutte le istituzioni locali alle dirette dipendenze del potere centrale. Una delle conseguenze della forte ripresa autoritaria in capo al governo Mussolini, che fece seguito alla crisi provocata dal delitto Matteotti, fu infatti la trasformazione della figura del sindaco in quella del podestà. Non si trattava certo di un mutamento esclusivamente lessicale. Con la Legge 4 febbraio 1926, n. 237, seguita dal Regio decreto-legge 3 settembre 1926, n. 1910, fu infatti stabilito che l’amministrazione civica venisse affidata a un podestà, nominato con decreto reale per cinque anni, assistito da una «consulta» con attribuzioni appunto meramente consultive, nominata con decreto prefettizio. Il podestà riassumeva in sé tutte le funzioni che in precedenza la legge comunale e provinciale attribuiva al sindaco, alla giunta e al consiglio comunali, ora aboliti. In questo modo il fascismo eliminava ogni rappresentanza elettiva in seno ai Comuni, bloccando allo stesso tempo, a favore del governo centrale, qualsiasi possibilità di autonomia locale. I nomi di coloro che potevano aspirare a rivestire la carica podestarile, solitamente espressione delle gerarchie fasciste territoriali e degli equilibri di potere in essere tra i maggiorenti locali (com’è il caso del conte Ettore Zorzi, podestà tra 1929 e 1930, relativamente al quale si propone un documento), venivano vagliati e valutati in ordine alla fedeltà al regime e, a partire dal 1938, dopo le leggi razziali, non potevano essere di ebrei ma esclusivamente di appartenenti alla «razza ariana».
AP
Biblio.: Barizza 1987; Mezzalira 1996; Camurri 2002; Ferris 2012.